Vermeer e la luce come anima del colore

Vermeer e la luce come anima del colore

Vermeer e la luce come anima del colore

Johannes Vermeer nasce nel 1632 a Delft, cittadina olandese che, dalla seconda metà del Cinquecento, vede la fioritura di botteghe per la tessitura di arazzi e di fabbriche di ceramiche e di birra. Il padre, tessitore di seta, col tempo acquista una locanda in cui svolge anche l’attività di mercante di quadri.
Dell’apprendistato di Johannes si sa ben poco, scarne notizie ci parlano, purtroppo, di ristrettezze economiche, pur godendo il nostro di una certa rispettabilità acquisita nella piccola cittadina di Delft. All’età di circa venti anni, Johannes rimane orfano di padre, da cui eredita la locanda, il commercio dei quadri e, purtroppo, anche i debiti; le difficoltà economiche continueranno a caratterizzare sempre la sua vita e quando, nel 1653, sposerà Catharina Bolnes, proveniente da una ricca famiglia cattolica, il mantenimento della famiglia sarà garantito in larga parte dalle rendite della suocera. Le ingenti ristrettezze economiche si acuiranno, inoltre, con la situazione politica che si crea all’indomani dell’invasione dei Paesi Bassi da parte di Luigi XIV nel periodo 1672-1673; Johannes muore di lì a poco, nel 1675, giovanissimo all’età quarantatré anni.

Rivalutata alla fine dell’Ottocento, la produzione artistica di Vermeer si caratterizza per gamme cromatiche chiare e luminose; l’ambiente prende luce sempre da una o più finestre con vetri piombati e le figure non sono mai rese con maestosità, ma sono persone che vivono a proprio agio nell’ambiente in cui si trovano. I temi prediletti da Vermeer sono quelli comuni a tanti pittori suoi contemporanei: signore intente a leggere o a scrivere una lettera, fanciulle allo specchio, piccoli ed eleganti concerti di musica, conversazioni, attività domestiche, quali il ricamo, i lavori di cucina. Vermeer ama definire gli interni non in quanto ambienti a sé, ma in quanto luoghi dove si vivono gesti quotidiani, quali versare il latte in una brocca, bere un bicchiere di vino: ambienti sobri, rassicuranti, intrisi di luce e colore, visibili anche all’esterno da chi, in quel momento, sta passeggiando, attraversando la stradina enfatizzando, in tal modo, quella pratica, da sempre in uso nella pittura fiamminga, di dare aperture verso l’esterno e realizzando ampie finestre con vetri molto curati per creare una reciprocità tra interni ed esterni data, essenzialmente, dalla luce: una luce che il nostro Johannes cerca continuamente facendola percepire attraverso il vibrare dei vetri e il muoversi delle ombre. In Donna che legge una lettera, la scena si compone di pochissimi elementi: una fanciulla, presso la finestra aperta, sta leggendo una lettera ed il suo viso, completamente assorto, si riflette nel vetro. La composizione è delimitata da una parete chiara su cui si riflette la luce esterna e dagli oggetti in primo piano: una straordinaria natura morta posta sul tavolo, in primo piano, coperto da un tappeto orientale e una resa meravigliosa del morbido tendaggio in primo piano.

In questa sua continua ricerca della luce, Vermeer crea la sublime meraviglia di fondere la luce con il colore dando vita ad una luce che ha colore, come in Il bicchiere di vino, di cui si presenta il particolare della fanciulla, dove ammirevole è la resa del profilo del naso e delle labbra attraverso il gioco di luce sul bicchiere e la lucentezza delle unghie.
Non trascura niente il nostro Johannes, è molto preciso, meticoloso nella scena di interni resi con una straordinaria unità stilistica, incentrata su un uso rigoroso della prospettiva e su una calibrata disposizione dei singoli elementi accuratamente selezionati rendendo, in questo modo, lo spettatore pienamente partecipe della scena, che “sta vivendo”.

Così, in Lettera d’amore, ci ritroviamo in una sequenza di stanze, la cui scena principale si trova al di là di una porta. Vermeer ci pone in un’anticamera buia con una sedia, dei fogli da musica e una scolorita carta geografica sulla sinistra; da quest’anticamera, vediamo, nella stanza posta sullo sfondo, luminosa e ricca, una domestica che ha appena consegnato la lettera alla padrona che, intenta a suonare uno strumento a corde, s’interrompe e si volta, quasi preoccupata, verso la serva. La domestica le risponde con un sorriso: sembra quasi volerla rassicurare.

Il tema della lettera il nostro Johannes ce lo regala anche in Fantesca che porge una lettera alla signora che, anche qui, è sorpresa e poggia sul tavolo la penna con cui stava scrivendo. Tra le due c’è un colloquio, la fantesca si piega in avanti e sembra che stia dicendo qualcosa alla sua signora che, a sua volta, porta la mano al volto, intenta ad ascoltare e a prendere di lì a poco la lettera.

Nella Lattaia, la luce entra dalla finestra illuminando la donna, una robusta domestica che sta versando del latte in una ciotola, la parete alle sue spalle, il tavolo in primo piano, il suo corpetto e grembiule, il recipiente di metallo lucente appeso sul fondo; emerge, qui, la maestria di Vermeer nel rendere la stesura pittorica a puntini di luce che si ritrovano sulla superficie ruvida del pane, sugli intrecci del vimine e sulle parti sporgenti del bronzo: straordinario brano di natura morta.

La virtù domestica, la pace di un ambiente quotidiano, sono celebrate anche nella Merlettaia, china, del tutto, sul suo lavoro, mentre tutto il resto è tagliato fuori, è come se non avesse motivo di esistere o suscitare interesse. Le dita e lo sguardo sono un’unica cosa ed intente ad un’unica cosa: annodare fili in trame leggere. In primo piano, lo spigolo del tavolo su cui sono appoggiati il cuscino da ricamo, dalle delicatissime nappe dorate, e il contenitore semiaperto da cui escono fili rossi e bianchi che il nostro Johannes delinea con pennellate semplici e fluidi. La luce arriva da destra e mette in evidenza quel corpetto giallo della fanciulla posandosi delicatamente sulla fronte e sulle dita mostrandoci una giovane donna del tutto intenta al suo lavoro.

Con la stessa immediatezza e stessa pettinatura della Merlettaia, Vermeer realizza anche Suonatrice di chitarra, dove la fanciulla indossa una giacca di raso giallo bordata di ermellino che compare spesso nei suoi dipinti; qui, però, la giovane ha un’espressione aperta, sorridente e il colore tocca punti di luce intensi, in particolar modo sulle dita della mano sinistra e sui rialzi della cornice dorata.

Ama i dettagli il nostro Vermeer e quelle stesse dita della Merlettaia e della Suonatrice di chitarra le ritroviamo in Donna che scrive una lettera alla presenza della domestica: le dita si affusolano mostrando la grazia di mani carezzevoli. Non c’è alcuna forma di angoscia nel dipinto, ma solo tanta infinita tenerezza e tanta delicatezza nella descrizione dei particolari, quali i gioielli, il copricapo della padrona di casa e della luce che proviene dai vetri a piombo e “accarezza” quasi i profili delle due donne.

Vermeer utilizza sempre una prospettiva precisissima, d’altronde, in quegli anni, parecchi artisti olandesi usavano strumenti ottici al cui utilizzo il nostro, tuttavia, ricorre come modello di ispirazione. Il procedimento è evidente nella Veduta di Delft che, per il suo stesso soggetto e per il taglio panoramico fa pensare all’uso di lenti e schermi di proiezioni. È stato dimostrato, infatti, che, per riprodurre una parte realmente esistente della città Vermeer, abbia modificato i dati reali volutamente al fine mettere in evidenza la vastità del cielo nuvoloso. Sembra quasi di stare nella zona portuale della cittadina resa con un gioco di chiaroscuro accresciuto dalla presenza dei riflessi sull’acqua: la luce è modulata in tante gradazioni e, in primo piano, fanno da contrasto i tetti illuminati dello sfondo. I materiali diversi, le tegole, le pietre, la sabbia, sono resi nella loro diversa consistenza attraverso il sapiente uso della luce commista alla stesura pittorica al punto tale che si parla di: «tegole scintillanti che danno alla celebre Veduta di Delft l’aspetto di una natura morta di città».

Descrizione dei particolari urbani e di vita quotidiana presente anche in La stradina dove, con lastre che si sovrappongono di granato e grigio e diversità tonali, Vermeer indica un preciso istante della giornata: vi è raffigurata la bellezza di quell’attimo. È una luce grigia quella del cielo nuvoloso, la profondità è data dal susseguirsi di altri palazzi sullo sfondo e dalla linea della canalina di scolo che parte dal primo piano. L’atmosfera di quiete intimità è quella che regna.

Torniamo però alle donne che il nostro Johannes ama tanto raffigurare e, tra i vari soggetti femminili, Donna con brocca d’acqua, il cui volto è “risaltato” dalla luce che entra da sinistra illuminando l’angolo della stanza, dove la donna, modestamente vestita, tiene una brocca in una mano mentre con l’altra si appoggia alla finestra aperta. Predomina nella composizione il costosissimo blu oltremare, ottenuto dal lapislazzuli, tanto presente nei suoi dipinti; non vi è nessun’azione precisa, la luce è trattata con grande sensibilità, le tonalità violette si riverberano sul muro e nei delicati mezzi toni del volto della donna.

Questa grande sensibilità sugli effetti della luce perde, invece, in Donna in piedi alla spinetta, dove una luce cristallina delinea nettamente i bordi degli oggetti, le stesse ombre e le stesse pieghe del panneggio sono trattate con decisione. Quel senso di quiete riflessione e intimità si perde, qui, a vantaggio di un’eleganza fredda e decorativa che pervade ogni aspetto del dipinto.

Come in Donna in piedi alla spinetta, anche in Donna seduta alla spinetta, la giovane donna si rivolge verso lo spettatore mantenendo le mani posate sulla tastiera della spinetta di cui Vermeer mette in risalto le decorazioni marmorizzate e il coperchio istoriato.

Tempo fa, da Novembre 2016 a Febbraio 2017, è giunto qui a Napoli, presso il Museo di Capodimonte, Suonatrice di liuto e vari sono stati gli appuntamenti proposti da chi scrive.

Chiudiamo, però, questa “Pillola di Storia dell’Arte” con il dipinto con cui maggiormente Vermeer è conosciuto: Fanciulla con turbante.

Fanciulla con turbante, si colloca in quel genere pittorico che va sotto il nome di “tronie”: a metà tra il ritratto in costume e il quadro di storia, in cui i modelli sono ripresi con costumi esotici o anticheggianti come riferimenti per personaggi storici o biblici. Il dipinto è noto per il romanzo del 1995 La ragazza con l’orecchino di perla di Tracy Chevalier da cui nel 2003 viene tratto l’omonimo film con la regia di Peter Webber.

Al di là della vena romanzata con cui è noto, il dipinto, che è opportuno definire seguendo le fonti documentarie, Fanciulla con turbante, è di una notevole importanza per la qualità tecnica e la forte carica emotiva.
La fanciulla è volta di tre quarti, con le labbra socchiuse e lo sguardo languido: la posa e l’espressione trasmettono un’immediatezza straordinaria. I colori, la luce, l’insieme rende il dipinto tra i più suggestivi che Vermeer abbia realizzato al punto che l’opera è stata definita, per la sua bellezza e la sua enigmaticità, la “Gioconda dei Paesi Bassi”.

E dietro questa bellezza enigmatica sta lo sguardo di Johannes, ma sta anche il nostro.

Johannes è stato un uomo che non ha amato l’approssimazione, ha voluto sempre riprodurre la realtà, ma mettendoci il proprio animo, quel suo animo che traspare dai giochi di luce che si fondono con i pigmenti pittorici che tanta ama comporre per realizzare i colori e che danno vita ad un’unica realtà: quella della luce.

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N.B. Le foto sono state attinte da internet a scopo puramente illustrativo.

07/05/2020

megarideart

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