La rinascita e la speranza con Van Gogh
Vincent Van Gogh è tra quegli artisti che, creando arte, parla di sé stesso, così, come uno scrittore scrive la propria autobiografia.
Un animo sensibile quello di Vincent per il quale pittura e vita diventano una cosa sola. Nelle Lettere a Theo, il suo amato fratello, il nostro Van Gogh scrive:
«Prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni».
Van Gogh vive “il mondo” come una pittura sublime di cui mette in risalto i conflitti morali in una potente energia d’amore e fraternità e, così, le sue pennellate ci dicono sempre qualcosa del suo stato d’animo. Il desiderio di Vincent è quello di un’arte che doni gioia e consolazione ad ogni creatura, come avviene in Ramo di mandorlo fiorito, dove è tutto così sereno, disteso.
In Ramo di mandorlo in fiore, siamo di fronte allo schiudersi della felicità: un vero inno alla vita raffigurato con pochi rami rigogliosi da cui nascono boccioli bianchi purissimi su uno sfondo turchese di un cielo brillante, limpido e sereno. Il dipinto è realizzato nel 1890, l’anno in cui il 31 gennaio nasce il nipotino di Vincent, Vincent Willem, figlio di Theo. Il ramo, come la primavera, significa rinascita, speranza, calore, ed è questo che per l’artista rappresenta la nascita del piccolo. Un’immensa e inspiegabile felicità che vuole raccontare come, meglio gli riesce, con la sua arte. Dipinge questa tela pensando a lui, come un dono di vita e di gioia. Come riporta nelle sue Lettere al fratello Theo, vede
«… ovunque nella natura, ad esempio negli alberi, capacità d’espressione e, per così dire, un’anima».
È questo il periodo in cui Vincent vive in Provenza, vi si è trasferito in quanto non tollera più il caos parigino, ama i colori della Provenza ed è in questa fase che la sua produzione artistica trasmette tutta quella pace e quelle emozioni positive che il nostro Vincent prova nell’ammirare i campi, nel farsi riscaldare l’animo dal sole dipingendo “en plein air”.
Sono questi gli anni in cui realizza Veduta di Arles con iris in cui prevale una perfetta simbiosi tra cielo e terra con il verde dei tronchi che si rischiara lentamente fondendosi con il cielo luminosissimo.
Luci e colori si fondono, altrettanto, nella serie de Il ponte di Langlois, con cui il nostro Vincent, utilizzando una tavolozza sfolgorante e lucente, proietta sé stesso, trasfigurando la realtà secondo i propri sentimenti. Vincent sostiene che
«Non è tanto il linguaggio del pittore che si deve sentire, quanto quello della natura».
E in questa serie di dipinti, tutto quanto è rappresentato, la scena delle lavandaie sulla sponda del fiume, le canne palustri dietro le quali troviamo un vecchio barcone, il calesse che procede sul ponte, è completamente subordinato alle emozioni del pittore, che ad Arles scopre finalmente un mondo lucente e coloratissimo.
È in questo periodo che nasce la celebre serie dei Girasoli in vaso, ricca di vitalità, ottimismo; i girasoli li disegna nel più totale coinvolgimento, disegnandoli più volte al giorno tanto è che scrive al fratello Theo:
«Ci sto lavorando ogni mattina, dall’alba in avanti, in quanto i fiori si avvizziscono così rapidamente».
Sono i fiori che placano l’animo del nostro Vincent e lo vediamo ancora con la fioritura di un albero con Pesco in fiore, dove il pesco si staglia al centro di un campo occupando l’intera composizione. I colori sono vivi e la luce colpisce, in pieno, albero e campo: ancora una volta, è l’emozione scaturita dalla natura che il nostro Vincent vuole trasmetterci.
Scrive al fratello:
«Theo, che grandi cose sono mai il tono e il colore! E chiunque non impari a sentirli, vive lontano dalla vera vita».
I colori, la luce lo rasserenano sempre più e questo si vede in La casa gialla dove è il colore a prendere il sopravvento su tutto, un giallo meraviglioso che, attraverso le sue diverse sfumature, crea una vera e propria sinfonia: gialli sono i mucchi di terreno, gialle sono le strade, gialla è la casa di Vincent, dove finalmente ha trovato la sua felicità dopo essersi allontanato dal clima e dai colori troppo rigidi di Parigi.
In questo periodo, non solo ama raffigurare quel paesaggio che tanto lo rasserena, ma anche tutta la vita che vive in quel paesaggio ed è così che nasce Il raccolto dove documenta, addirittura, le fasi del lavoro nei campi, rappresentando le diverse fasi della mietitura. E così, vediamo, un campo già parzialmente mietuto, con una fascia di spighe addossate allo steccato che delimita una zona di vegetazione; contadini al lavoro: uno intento alla mietitura, altri a condurre i carri; scale appoggiate ad un covone e, a seconda dei colori, campi già lavorati. L’analisi del paesaggio è straordinaria, vi sono raffigurate anche tre case coloniche “baciate” dall’intenso sole della Provenza e, infine, sull’orizzonte, montagne che diventano una sola cosa con la pianura.
Non solo giornate in pieno sole ama raffigurare qui in Provenza:
«Io penso spesso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno»
e sono di questo periodo alcuni splendidi e celebri “notturni” sempre “en plein air”.
Per il nostro Vincent, le stelle, il cielo erano una fonte profonda d’ispirazione, scrive, infatti, al fratello:
«guardare le stelle mi fa sempre sognare»
Sognante è, infatti, la Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles: Vincent esprime la propria serenità con colori, che dominano la scena grazie al vivace contrasto tra il blu e il giallo, iniziato nello scenario urbano e ripreso nella sublime visione del cielo stellato.
Con una sensibilità quasi romantica, invece, in Notte stellata sul Rodano, il cielo appare rischiarato da una moltitudine di stelle che, brillando, si riflettono sui flutti del Rodano, visibile in basso, come pietre preziose.
Come in La casa gialla, anche qui, Van Gogh utilizza una sola tinta, in questo caso il blu, sviluppandola in tutte le sue possibili sfumature e dando una raffinata sinfonia di blu di Prussia, blu oltremare e cobalto.
Tra tutti i notturni, indubbiamente, il più celebre è Notte stellata, dipinto che lo stesso Van Gogh giudicò un fallimento, “Non gli diceva niente“, forse, perché gli ricordava il periodo del ricovero nella clinica per malati mentali di Saint-Rémy de Provence e da cui inizia la fase più difficile della sua vita che lo porterà al suicidio.
Dalle Lettere, tuttavia, si evince uno straordinario amore per la vita e per l’umanità:
«Più ci penso, più mi rendo conto che non c’è nulla di più veramente artistico che amare gli altri»;
in questa frase sta un intensissimo insegnamento all’amore universale che si racchiude in un sublime passo delle Lettere
«Non vivo per me, ma per la generazione che verrà»
Un insegnamento, questo di Van Gogh, che ci porta a rasserenare l’animo attraverso la contemplazione e la salvaguardia del Bello.
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24/03/2020