Giovanni Boldini e l’eternità della bellezza
Uno stile elegante, quello di Giovanni Boldini nato nel 1842 a Ferrara, città, per lui, fonte inesauribile di studio per la presenza, nel passato, di straordinari artisti, quali Pisanello, Piero della Francesca, Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna, Tiziano, Giovanni Bellini e scrittori e poeti quali, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso. Boldini, sin da adolescente, si «nutre», in tal modo, di una cultura viva, fervida, ma ben presto non gli basta più e vive tra Firenze, Londra e Parigi dove si stabilisce definitivamente dal 1872 al 1931, anno della sua morte, divenendo il massimo rappresentante del ritratto d’epoca, distinguendosi tra i ritrattisti della sua epoca per l’abilità del disegno e la ricerca preziosa del colore.
Sono gli anni della cosiddetta «Belle Èpoque» tra fine Ottocento e inizio Novecento: sono anni pieni di fermento sociale, viene inventato il cinematografo, grazie ai fratelli Lumière, le grandi esposizioni universali sono l’occasione con cui gli artisti presentano in autonomia le proprie opere e Boldini è pienamente partecipe di questo fermento. Nei suoi quadri è sempre presente la precisione del dettaglio lasciando, però, l’impressione del momento; quella di Boldini è la ricerca dell’attimo fuggente, quella stessa ricerca che vive tra le pagine di Marcel Proust.
Giovanni è entusiasta di questo tipo di lavoro e crea uno stile del tutto personale, con un virtuosismo originale, come avviene nel ritratto di Consuelo Vanderbilt, duchessa di Marlborough con suo figlio Lord Ivor Spencer-Churchill, considerata «il decano dell’alta società internazionale»; la donna è in visita a Parigi, Boldini la trova semplicemente «divina» e le chiede di fotografarla. Felicissima della foto, la donna gli chiede, per il dipinto, di ingrandirla e di includere il figlio più giovane.
Grazia e candore uniti ad una grande dose di sensualità emergono, sempre, dai suoi dipinti, come in Signora in rosa dove, con una resa pittorica virtuosa e veloce, i colori brillanti sono sapientemente armonizzati con leggerezza e facilità di tocco, esaltando la bellezza della modella, che sembra colta di sorpresa. Boldini racconta lo splendore di un’epoca attraverso l’eleganza delle sue protagoniste: donne effigiate nella magnifica opulenza dei loro abiti fatti di tulle, rasi, sete, velluti che splendono sulla loro pelle radiosa.
I ritratti a figura intera risultano, in tal modo, funzionali a mostrare tutti i dettagli degli abiti delle modelle e delle committenti, ma Boldini si dedica anche a ritratti a mezzo busto, come in Treccia bionda, dove la figura emerge dalla composizione mettendone in risalto, con forza, il volto ovale della fanciulla, mentre lo sfondo e la veste si sfaldano in quella trama pittorica talmente trasparente da far emergere gli strati sottostanti.
«Grandi fiori viventi»
così Giovanni Boldini ama designare le donne. I suoi quadri, fatti di dettagli luminosi e grandi pennellate dinamiche, sembrano riprodurre la fugacità del tempo e l’effimera durata della gioventù e della bellezza con immagini che sembra scompaiano a breve. Le bellissime donne e, talvolta i gentiluomini, che appaiono sulle tele, ricchi esponenti della «Belle Èpoque», sembrano essere sempre sul punto di lasciare il quadro da un momento all’altro, d’altronde, la Belle Èpoque, incorniciata da Boldini, con sete, piume, perle, non è altro che uno scintillìo di breve durata.
Caducità del tempo e della bellezza è pienamente esternata nella splendida Gladys Deacon, Duchessa di Marlborough, ritratta in quell’attimo in cui sembra essersi seduta un momento a riposare, o forse è in procinto di alzarsi e Boldini la immortalata per sempre in un semplice gesto quotidiano, vestita di seta rosa, con il volto di profilo, il corpo sporto in avanti e di una bellezza eterea. Marcel Proust innamorato della donna scrive:
«Non ho mai visto una ragazza con così tanta bellezza, tanta magnifica intelligenza, bontà e grazia»
Ossessionata, però, dalla perfezione, la donna si sottopone a iniezioni di paraffina che a lungo andare le deturpano completamente i lineamenti. La delicatissima Duchessa della Donna in rosa sparisce, così, per sempre, la bellezza è durata un attimo, si è spenta, ma quell’attimo nella tela di Boldini è eterno.
La bellezza eternata e glorificata è l’essenza della pittura di Boldini, ce lo dimostra Marchesa Luisa Casati, la «Divina Marchesa» così come la definiva Gabriele D’Annunzio di lei innamorato, la donna che ambisce a vivere come «un’opera d’arte», riuscendoci perfettamente. Tra i tanti dipinti a lei dedicati vi è la Giovane donna con levriero: affiancata dal levriero, la donna è vestita di un elegante abito lungo nero dalle tinte violacee che le fascia sensualmente, accentuandone il movimento, il sinuoso corpo mentre il grosso cappello a larghe falde esalta le linee del viso.
Affascinante icona della Belle Époque, è Donna Franca Florio, apprezzata da molti, per fascino, bellezza e cultura e che Boldini raffigura in un elegantissimo abito nero; «eternata nella sua bellezza» sarà anche colei che, come la Florio, è la Musa di Gabriele D’Annunzio: Eleonora Duse raffigurata con un abito dai toni elegantemente luminosi da cui emergono motivi floreali estremamente delicati e resi con toni pastello. La stesura pittorica è corposa e luminosa, con giochi straordinari di luce che sfiorano il vestito, evidenziano il colore dei capelli e dell’incarnato, conferendo al volto di Eleonora quello di una donna sognante.
Si può riassumere la personalità di Boldini attraverso le parole della moglie, Emilia Cardona, che conosce per un’intervista e che sposa, quasi ottantenne, due anni prima di morire:
«Il pittore del gesto, o meglio del respiro del gesto, di quel fremito che aleggia attorno ad una mano quando si è appena posata e non si è ancora appesantita nella dimenticanza di sé stessa»
rendendo eterna la bellezza di un sogno che duri, anche, un solo un attimo.
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20/04/2020