Claude Monet e la luce della vita
«Voilà mon atelier»: è questa la frase che Claude Monet pronuncia, indicando la Senna, al giornalista che si reca nella sua casa a Vétheuil, sulla riva destra della Senna per intervistarlo.
Considerato il padre fondatore dell’impressionismo, Claude nasce nel 1840 a Parigi, ma trascorre la sua infanzia nella cittadina di Le Havre, in Normandia, dove i genitori si trasferiscono quando ha cinque anni. La luce e i colori dei paesaggi normanni esercitano una forte influenza sulla formazione del piccolo Claude, suggestioni, impressioni che, negli anni, si andranno ad unire a quelle suscitate durante il servizio militare in Algeria.
Nella sua lunga produzione, Claude muore all’età di 86 anni, ha sempre una grande attenzione verso i giochi di luce, i passaggi tonali di un tramonto, la resa dell’atmosfera, egli ama «mettere sulla tela l’effetto delle acque». Desidera continuamente vivere tutte le novità artistiche, sente di volerle fare sue; si avvicina alla cultura figurativa orientale con Terrazza sul mare a Sainte-Adresse, che Claude stesso definisce il «quadro cinese con bandiere», ma quelle “bandiere” ci trasmettono il vento con la sua leggera brezza di mare ed è qui che viviamo il sogno di Claude: l’acqua e l’aria in movimento.
Nelle sue opere, sono le emozioni, negative o positive che siano, a parlare; Claude non si vergogna mai di mostrare il proprio stato d’animo, tumultuoso o gioioso che sia, non ha timore di mostrare sé stesso, egli riversa nella tela i suoi sogni, le sue paure, le sue ambizioni, le sue angosce, sempre, però, improntate sulla ricerca continua della luce. La sua non è una vita semplice, molto spesso vive ristrettezze economiche, dovute anche alla malattia della sua giovane moglie Camille, che immortala nel bellissimo Camille Monet in costume giapponese ed è noto, come, tra l’altro, la sua casa a Giverny sia riccamente adorna di stampe giapponesi.
Il nostro Claude si abbandona totalmente alla visione del cielo, dell’acqua, alle vibrazioni e ai movimenti dell’atmosfera, agli effetti e ai riflessi della luce. Claude esamina continuamente gli effetti luminosi che finiscono per prevalere sempre più sulle sue tele e, per far ciò, sull’esempio del suo amico Daubigny, si fa costruire un «battello atelier» per muoversi all’interno della natura (rappresentato nel dipinto realizzato da Manet) e trovare diversi punti di vista altrimenti impossibili da realizzare.
Ama sperimentare i vari giochi di luce sulla tela, a qualsiasi ora del giorno, realizzando scene urbane, nature morte con fiori, angoli della sua stessa casa, del suo studio.
La pittura di paesaggio domina incontrastata le sue scelte, la figura umana vi campeggia all’interno della composizione, i suoi dipinti sono frammenti di realtà come, Ponte ad Argenteuil, caratterizzato da un’estrema delicatezza nella fusione dei diversi valori luminosi.
Di questa realtà, ne fa parte la figura umana che, talvolta, ha un ruolo principale, altre volte, invece, è parte integrante della natura, o è trattata come uno dei tanti aspetti della realtà, lo vediamo, tra i tanti dipinti, in Barca Blu, Donna col parasole oppure Signora in giardino.
Attratto da tutto ciò che sia rappresentabile, ritrae vedute della città di Parigi con i suoi boulevards, i giardini pubblici, le stazioni ferroviarie, rivisitati come grandi monumenti della modernità.
Claude riceve lodi dalla critica, ma nonostante ciò la situazione economica è sempre più difficile, la salute della sua Camille è sempre più precaria, gli amici lo sostengono, ma di lì a poco, Camille muore, il suo stato d’animo non è più quello portato ad analizzare la luce nel senso più puro del termine, ma risente sempre più delle inquietudini ed insicurezze che, ormai, sono la parte viva del suo stato d’animo e così quei colori luminosi con i quali il nostro è noto si spengono man mano.
Inizia a dipingere paesaggi invernali freddi, rigidi, intanto anche il gruppo impressionista si scioglie, man mano nella sua vita inizia a prendere piede la necessità di intraprendere un nuovo percorso, in solitudine, questa volta, nel nome, ancora una volta, della ricerca della luce: ed è una nuova luce quella che viene fuori, ce ne parla Proust:
«Tutto risplende […] questo disgelo è come un miraggio; non si percepiscono differenza tra il ghiaccio e la luce del sole; tutti questi frammenti galleggianti irrompono nel clamore del cielo spazzandolo via; lo splendore degli alberi è tale che non sapresti dire se derivi dal rossore autunnale o da una qualche essenza interna alla loro specie; alla fine non sai più cos’è che stai guardando».
L’amico che gli rimane vicino, per buona parte della sua vita, è Renoir che, lo ha aiutato a superare momenti economici difficili; con lui viaggia molto e insieme scoprono tutta la costa mediterranea della Francia, spingendosi fino a Genova.
Claude rimane così affascinato dalla costa che decide di soggiornare a Bordighera l’anno successivo da solo, confrontandosi, giorno dopo giorno, con i colori del mare e del cielo che egli stesso definisce «impossibili».
In una lettera ad Alice Hoschedé, la sua seconda moglie, scrive:
«Lavoro come un forsennato su sei tele al giorno. Faccio molta fatica poiché non riesco ancora a cogliere il tono del paese; a volte sono spaventato dai colori che devo adoperare, ho paura di essere terribile […]; è atroce la luce. […] tutto è così nuovo per me che non riesco a finire…. […] Scopro ogni giorno motivi sempre più belli. C’è di che uscirne pazzi, tanto sento il desiderio di fare tutto, la testa mi scoppia».
Claude è dotato ancora di più, dopo tante angustie, di una “voracità visiva”, c’è una bellissima testimonianza di Guy de Maupassant:
«Ho spesso seguito Claude Monet in cerca di impressioni. Non era più un pittore, ma un cacciatore. Camminava, seguito da alcuni bambini che portavano le sue tele […] Le prendeva o le lasciava, seguendo ogni mutamento del cielo e aspettava, spiava il sole o le ombre, catturava con qualche colpo di pennello il raggio a perpendicolo o la nube vagante e li trasferiva rapidamente sulla tela.
L’ho visto cogliere così una cascata scintillante di luce sulla scogliera bianca e fissarla con un profluvio di toni gialli che rendevano in modo strano l’effetto sorprendente e fugace di quel riverbero inafferrabile e accecante.
Un’altra volta prese a piene mani un temporale abbattutosi sul mare e lo gettò sulla tela. Ed era davvero la pioggia che aveva dipinto, niente altro che la pioggia che penetrava le onde, le rocce e il cielo appena individuabile sotto quel diluvio».
Col tempo, inizia ad esporre anche sul mercato americano, pertanto, dal punto di vista economico la situazione sembra aver preso una buona piega e a questo punto egli acquista la propria abitazione a Giverny cominciano anche i lavori per la realizzazione del suo giardino di cui dirà:
«Il mio giardino è l’opera più bella che io abbia mai creato».
I fiori, la natura lo affascinano da sempre, come non citare Papaveri, ma a Giverny fa realizzare appositamente il giardino con uno stagno per studiare tutti gli effetti della luce ed esaminare le ninfee.
Con le Ninfee, vere e proprie sinfonie di colori, ogni orizzonte è scomparso, sono scomparsi gli alberi, la terra, il ponte, è visibile solo l’acqua, un’acqua che unisce le sfumature della luce e del colore a quelle dei riflessi dei cespugli, degli alberi, del cielo e delle nuvole.
E così le ninfee sembrano fluttuare sospese nell’aria o «fiorire in pieno cielo».
Esse raccontano tutte le infinite variazioni di colori, tutte le luci del mondo, dando allo spazio un’idea di infinito.
Un’idea di infinito che Claude persegue sia nell’ Arte che nella Vita, in ogni istante, alla ricerca sempre della “luce giusta“, quella luce che lo tormenta nei momenti difficili, che gli viene quasi spontanea nei momenti sereni, ma che, ad ogni modo, lo rasserena sempre aprendogli nuove strade, nuove idee e dando pace al suo animo.
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N.B. Le foto sono state attinte da internet a scopo puramente illustrativo. L’immagine in evidenza è la foto del giardino di Giverny.
26/05/2020